Dei Sepolcri: breve analisi dell’epistola di Foscolo

(adattato da un mio testo del 17 marzo 2020)

Ugo Foscolo è stato il principale esponente del Preromanticismo italiano e l’opera sua che meglio raccoglie e sintetizza tutti i temi e le riflessioni a lui più cari è l’epistola in versi Dei Sepolcri. Come capiamo dal titolo del carme, la riflessione intorno alla funzione delle sepolture è il nucleo centrale, su cui poi si innestano riflessioni sulla Natura, sul patrimonio letterario classico e contemporaneo, sulla storia e la politica.

Il motivo che spinge Foscolo a scrivere è l’emanazione dell’editto di Saint-Cloud (1804), che prevede di dislocare i cimiteri fuori dalle città e seppellire i morti in tombe tutte uguali fra loro (secondo il principio egualitario d’ispirazione giacobina). Foscolo condivide il fine sanitario dell’editto, ma si oppone fermamente all’uso di lapidi anonime. Sebbene dal punto di vista razionale e materialistico, le tombe sembrano non avere alcuno scopo per i defunti, dato che la loro anima è destinata a dissolversi dopo la morte, senza nuova vita nell’aldilà (ricordiamo che Foscolo è molto vicino alla filosofia epicurea), tuttavia i sepolcri hanno un irrinunciabile valore sentimentale, per i parenti e gli amici stretti, e civile, per tutti i cittadini e i posteri.

Le persone care al defunto possono raccogliersi intorno alla tomba e rievocare il suo ricordo, instaurando quella “corrispondenza d’amorosi sensi” che permette al ricordo di continuare a vivere nella mente dei vivi. Analogamente, i grandi personaggi del passato meritano di riposare in tombe che ne esaltino il valore civico e possano trasmettere il proprio esempio positivo ai posteri.

John Constable, Scena in un cimitero su una collina (illustrazione all’ “Elegia” di Thomas Gray), 1833 / fonte: Wikimedia Commons

Interessante, in quest’ottica, è la visione che Foscolo ha della storia. Egli non annovera tra le grandi personalità alcun principe o condottiero, bensì studiosi, letterati, scienziati e artisti. Questo perché, come spiega nelle Ultime lettere di Jacopo Ortis, le “ nazioni si divorano l’un l’altra” per mantenere l’equilibrio, e quando i tempi sono maturi per una rivoluzione, “necessariamente vi sono gli uomini per iniziarla”, politici che sono quindi cieche ruote dell’orologio della Natura. Sono gli uomini di cultura gli unici che “creano” (poesia deriva dal greco poiesi, “creazione”).

Arriviamo quindi a considerare il ruolo che la Natura ha per Foscolo. Seguendo gli insegnamenti di Democrito e Lucrezio, egli considera l’universo come un grande “orologio” in cui tutte le parti si muovono secondo leggi necessarie. Tutte le parti del sistema vanno incontro al ciclo creazione (nascita) – vita – dissoluzione (morte) – trasformazione in nuova materia. Questo meccanismo genera dolore e sofferenza, perché porta gli uomini a scontrarsi gli uni con gli altri, per valori effimeri come il potere. Quei pochi che utilizzano la propria ragione si rendono conto dell’insensatezza di questi scontri, ma sono altresì consci della loro piccolezza rispetto al sistema, della loro incapacità di modificare gli eventi, e l’unica consolazione (futura) sta nel compianto dei cari sulla propria tomba. Lo stesso Foscolo tuttavia oscilla tra questa posizione più pessimista e fatalista (propria dell’Ortis) e una più positiva e fiduciosa nelle capacità umane (nei Sepolcri), che incoraggia il popolo a seguire l’esempio dei grandi Italiani del passato, a prendere le armi per cacciare lo Straniero e a realizzare l’Unità d’Italia. Rimane comunque esclusa l’esistenza di un dio creatore e provvidenziale.

Ultimo aspetto importante da analizzare è il rapporto di Foscolo col mondo classico. Egli si colloca ancora a cavallo tra Neoclassicismo e Romanticismo,  e considera i classici letterari, storici e artistici un patrimonio indispensabile. In primis, per i grandi esempi di eroi quali Ulisse, Aiace, Ettore, che hanno sofferto grandi dolori e perdite, ma si sono dimostrati magnanimi (in senso etimologico, “d’animo grande e nobile”) e fedeli alla patria e alla famiglia. Poi, per l’altissimo valore attribuito alla letteratura, e sopra tutto alla poesia, simbolicamente personificata nelle Muse, che con il loro canto possono allietare la desolazione dei vivi e perpetuare il ricordo dei morti. Le Muse “siedono custodi de’ sepolcri, e quando il tempo con le sue fredde ali spazza via le rovine di essi, loro col loro canto rendono più lieti i deserti, e l’armonia vince di mille secoli il silenzio”.

Luca Pellegrini, 19/03/2021

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